Italo Valenti e la sua vita

E’ una fortuna che Italo Valenti fosse un conversatore intermittente ma spesso sciolto, oltreché arguto; che amasse e sapesse ricordare, luoghi, persone, sensazioni, circostanze; che avesse memorie concrete ed emotive, sovente premonitrici. Queste schegge di passato, conservate a loro volta nel ricordo degli amici e soprattutto fissate negli appunti tenuti dalla moglie Anne, accrescono e vivificano la documentazione scritta conservata nell’Archivio Italo Valenti di Ascona; per non dire ovviamente di quell’altra fondamentale traccia anche biografica costituita per un artista dalle sue opere.
La famiglia di Italo Valenti abitava a Milano, a Porta Ticinese, ove il padre gestiva un commercio di vini. Lì egli nacque il 29 aprile del 1912, alle 4 e 10 del pomeriggio, come usava precisare, nella grande stanza della nonna decorata sul soffitto dall’effigie di Giuseppe Garibaldi. La nonna materna, Emilia, fu la prima presenza ferma e forte, e amata, anche ben oltre quegli anni. Tanto più che, scoppiata la guerra, il padre parte per il fronte come bersagliere e la madre si trasferisce a Vicenza per dirigervi la succursale dell’azienda. La nonna dunque lo alleva fino all’età di sette anni, circondandolo di cure e avvolgendolo in racconti di favole, che lasceranno un ricordo indelebile nel suo spirito. Fuori dalla grande casa a cinque piani, il cortile col suo andirivieni di carri e cavalli, le cataste e le file di botti; più oltre, l’alzaia e il Naviglio con le sue chiatte e il lungo molo animato dai giochi dei bambini. Il piccolo Italo, timidissimo, comincia a frequentare a quattro anni un asilo tenuto da suore francesi, volteggiantì col velo e la tunica bianchi. Le estati le passa a Mercallo, ancora nella casa dei nonni paterni, lieto di poter accompagnare il nonno nei lavori dei campi o a pesca sul piccolo lago; ma qui è l’altra nonna, Vittoria, a narrargli storie di cronaca nera, con forti emozioni e impressioni. Terminata la guerra, si trasferisce con i genitori a Vicenza. Il bimbo sensibile e delicato viene ora educato più rudemente, e non senza sofferenza, dal padre, uomo energico e versatile. Inizia la scuola, che frequenta svogliatamente. Più lo attraggono le bellezze della città e dei dintorni, le architetture palladiane, le molli colline.
Lascia la scuola a quattordici anni e per la sua passione per il disegno viene collocato nell’atelier di un ceramista: è la sua iniziazione alla pittura, che prosegue l’anno dopo a Milano presso un pittore su smalto e in una scuola serale di disegno. Nel 1927 lo troviamo nuovamente a Vicenza presso un orefice; frequenta i corsi serali della Scuola di Arti e Mestieri. Lì intreccia i suoi primi legami, col pittore Maurizio Girotto, col futuro scrittore ed editore Neri Pozza, con l’altro futuro scrittore e giornalista Antonio Barolini, e con Libero Augenti, pittore e teosofo di grande cultura, emblematico di quel momento della cultura italiana che vede il fiorire di uno spiritualismo confuso, di raccordi fra coordinate diverse, di un intuizionismo in cui la Grecia presocratica veniva collegata al Medioevo mistico, l’eresia all’Umanesimo esoterico. Tracce se ne troveranno nel lirismo sognante e allusivo, in alcune tematiche dell’arte di Valenti.
Il 1931 segna l’inizio della sua carriera artistica. Comincia allora a dipingere sistematicamente e a esporre i suoi quadri (Valdagno, 1932). Dapprima si reca a Venezia per seguire, nonostante i suoi pochi mezzi, un corso di disegno all’Accademia di Belle Arti; quindi, grazie al sostegno di uno zio che ha fatto fortuna nell’America del Sud, e nonostante le preoccupazioni della famiglia, può proseguire brillantemente la sua formazione all’Accademia di Brera a Milano. Suoi maestri preferiti e venerati sono Aldo Carpi pittore ed Eva Tea docente di Storia dell’Arte. Se del primo diventerà assistente, la seconda avrà posto nella sua vita e nella sua arte come un ammirato punto fisso morale e uno dei suoi archetipi fra le monache-maghe tutelari. Un forte accento morale e sociale si ritrova anche nella sua pittura di allora, che ha per protagonisti volti austeri, forti figure di operai, fabbriche e stazioni abbandonate, giungendo a volte a toni drammatici. Alla fine degli studi il conseguimento di un premio permette al pittore di compiere un viaggio a Parigi e a Bruxelles: un’evasione ossigenante dall’autarchia e dall’arte di regime o, come dichiarerà più tardi l’artista, la scoperta di “un mondo luminoso e vivo, in paesi liberi e democratici”; una scoperta sconvolgente per i “topi di museo che eravamo”, un bagno nelle luci e nei colori degli impressionisti, di Cézanne, di Gauguin, di Van Gogh. Al ritorno sarà privato del passaporto (non gli verrà restituito che nel 1945-46, a guerra finita). Comincia così il suo attrito col fascismo, che lo porterà anche per alcuni giorni in prigione, a San Vittore, nell’aprile del 1937. Non parteciperà nemmeno alla seconda guerra mondiale per la sua fragile costituzione fisica; vi perderà invece un fratello sul fronte greco. Poco prima della guerra, fra il 1937 e il 1939, l’avventura di Corrente con la sua adesione a quel movimento, che fu uno dei più entusiastici e vitali di quegli anni grigi. Milano aveva di questi fermenti, che abbracciavano tutte le forme della cultura e legavano insieme artisti e letterati a volte persino di ispirazioni e provenienze diverse, però tutti animati dal desiderio di un rinnovamento, di apertura sui grandi movimenti europei, e quindi implicitamente ostili o diffidenti del regime, entro cui pure dovevano operare. L’entusiasmo giovanile e la solidarietà, il comune fastidio per quanto era viceversa ufficiale e integrato, enfatico e retorico, intervenivano a dare coesione ai gruppi. Fondatore di Corrente fu Ernesto Treccani, editore, scrittore, pittore; vi si raccolsero, con lui, in vari momenti, Arnaldo Badodi, uno dei compagni più amati e rimpianti da Italo, presto morto in guerra, Renato Birolli, rispettato come uno dei capi, Bruno Cassinari, Lucio Fontana, Renato Guttuso, Ennio Morlotti, Giuseppe Migneco, Aligi Sassu; e poi i poeti, scrittori o critici Luciano Anceschi, Carlo Bo, Beniamino Joppolo, Giuseppe Marchiori, Salvatore Quasimodo, Vittorio Sereni. Valenti più ancora che altri frequenterà questi scrittori, come anche gente di teatro e di cinema; e definirà poi questo momento come quello di un’aggregazione “affettiva e sociale”, non soltanto artistica.
Testimone di vita e d’arte è l’organo “Vita giovanile”, poi “Corrente”, su cui appaiono anche le prime analisi della pittura di Valenti; e sul “Corriere della sera”, nel 1939, Guido Piovene indicherà quel giovanissimo come colui che da più solide garanzie degli altri per una pittura non disfatta e disaggregata ma viceversa concentrata e concretizzata.
Intanto, dal 1939, in condizioni economiche e di salute spesso difficili, Valenti svolge l’incarico di professore di Nudo all’Accademia. Ne! 1942 sposa una sua allieva, Angela Valdevit, e abita con lei un appartamento con vista sulla Stazione Centrale di Milano, ispiratrice delle sue stazioni e delle locomotive sbuffanti sui binari, in cui, come dichiara in II lavoro nella pittura italiana d’oggi, Milano 1950, vede un’analogia con la sua stessa attività: i pennacchi di fumo si snodano nell’aria, assumono forme e ritmi ora rapidi ora immobili, ingrandendosi o disperdendosi.
Durante la Repubblica Sociale Italiana rifiuta di continuare l’insegnamento e si rifugia con Angela presso la famiglia di lei a Porcia, nel Veneto. Pur nel travagli del tempo e la partecipazione a un comitato clandestino di liberazione, sono mesi di straordinaria, squisita e poetica produzione di paesaggi campestri, con chiare impronte cézanniane ma con un luminismo più vivo nei riflessi d’acque, e un’atmosfera distesa e idillica come in un angolo del mondo e in un momento della vita nonostante tutto belli e felici. Terminata la guerra, che ha segnato profondamente la sua famiglia con lutti, disagi e difficoltà economiche, torna a Milano e riprende l’insegnamento a Brera a fianco di Carpi, sopravvissuto a sua volta al campo di concentramento in Germania. Si distacca invece da Corrente, di cui non condivide i nuovi orientamenti ideologici e le prese di posizione polìtiche. Iniziano il suo voluto isolamento, la ricerca solitaria e lo sviluppo originale della sua arte. Ricerca e trova anche altri rapporti, al di fuori del suo stesso ambiente e del suo lavoro. S’incontra spesso e s’intrattiene con Eugenio Montale, che ama dipingere nel suo atelier. S’interessa appassionatamente di teatro, in quegli anni brillantissimo a Milano nella sede del Piccolo, dove lavora Paolo Grassi. Nascono a loro volta da questa frequentazione i Teatrini, dal 1954, ma ancor prima molti suoi quadri hanno un impianto scenografico, dispongono i personaggi allampanati, ieratici, come recitanti su una scena chiusa: / giganti della montagna (1947) echeggia anche nei titolo quello di un noto dramma contemporaneo di Pirandello; mentre sono di un teatro all’aperto i cani che abbaiano alla luna. In altri temi (sedie, poltrone, vasi di fiori…) si avverte invece la lezione del realismo post-cubista e suggestioni di Braque. La pittura di Valenti si va d’ora innanzi sempre più concentrando sulla raffigurazione e sul significato simbolico e autobiografico di alcuni
temi-chiave: con le locomotive, con i teatri, appaiono le prime maghe e i traghettatori, il desiderio e quasi il presagio dell’e vasione.
Nel 1948 espone alla Galleria La Bussola di Torino e partecipa alla Quadriennale di Roma, all’Esposizione nazionale di Arte contemporanea a Milano e alla XXIV Biennale di Venezia, dove torna l’anno successivo. Nel 1950, accettando un invito a dirigere un corso estivo presso una galleria d’arte ad Ascona, vi si trasferisce; inconsapevolmente, comincia il suo distacco dall’Italia, ove terrà ancora alcune mostre, ma con progressivo diradamento dei contatti. Nel 1952 espone alla Galleria La Colonna di Milano, poi, alla fine di settembre, abbandona definitivamente l’insegnamento a Brera per installarsi a Locarno Muralto.
Il Ticino gli apre i contatti con un’altra società, cosmopolita, spesso di scrittori e di artisti, che lo accolgono e lo aiutano volentieri. Frequenterà e diverrà in fasi di tempo successive intimo amico dello scultore Remo Rossi, di Jean Arp, di Julius Bissier e soprattutto di Ben Nicholson, artisti che, se non si rassomigliano tutti nella loro arte, condividono però un alto senso del loro lavoro e della sua qualità. Anche la vita familiare muta. Separato dalla prima moglie, conosce e si unisce alla scrittrice e gallerista Anne de Montet e alle sue due figlìolette, a cui si affeziona, ed è ricambiato, teneramente.
A Bellinzona, nel 1953, tiene la prima esposizione svizzera nel Palazzo Municipale, salutato da una fervida recensione di Giorgio Orelli.
Nel 1955 espone nella Svìzzera tedesca, a Basilea (Galleria Bettie Thommen) e a Zurigo (Librairie Française; qui ancora l’anno dopo); e in autunno a Milano, alla Gallerìa Il Milione (nel catalogo, testo di Enrico Emanuelli). In questa occasione il critico Renzo Biasion coglie perfettamente nei suoi quadri quello humour che ne incrina felicemente la compattezza, e scatta un ritratto dell’artista a tutto tondo, di cui conviene tener conto, come di persona estrosa e colta, raffinata e ironica. Ai suoi perduranti temi e alle sue forme preferite si affiancano composizioni plastiche, intensi impasti di colore, come di vortici magmatici in un caos primigenio, materico o stellare, che preludono all’ultima fase, dell’astrattismo. Nell’estate del 1958 partecipa per la terza volta alla Biennale di Venezia, rituffandosi in un’atmosfera che gli è sempre cara e tonificante, e l’anno seguente all’importante mostra storica “50 anni d’arte a Milano, dal Divisionismo a oggi” e alla Quadriennale di Torino. Nel 1960 è la volta dell’esposizione collettiva, alla Galleria Gian Ferrari, di Corrente, intorno a cui si risveglia un interesse che andrà sempre crescendo fino a culminare nella grande esposizione milanese del 1985. Ancora nel 1960, mostra personale alla Loggia di Bologna e al Kunstverein di Friburgo i.B.: nella cinquantina di opere esposte, fra gli olii, i gouache e le litografie, anche i piccoli collage. Un viaggio in Sardegna con Anne lo porta successivamente a scoprire l’antica civiltà nuragica, che con quella cicladica e micenea annoda il suo rapporto con l’antichità: non il classicismo, ma l’estatico e misterioso mondo delle creazioni mitiche, delle forme semplici, composte, geometrìche. Attraverso Nicholson conosce Charles Lienhard ed entra a far parte della cerchia della sua importante galleria zurighese, ove espone (per la prima volta nel 1959, presentazione di Andre Kuenzi) con positivi riscontri anche economici. Per questo, e per il sereno ambiente familiare, lavorerà d’ora innanzi con quella tranquillità che non ha mai conosciuto e che si riflette nelle sue opere più distese. Nel Natale del 1959 escono dalle sue mani alcuni piccoli collage di carte variopinte: è la sua nuova forma di pittura astratta, che nel minuscolo come in grande formato accompagnerà d’ora innanzi la sua pittura. Anche l’attività manuale dell’artista trova un’originale e stimolante sistemazione nel gruppo di atelier che Remo Rossi organizza alla periferia di Locamo: con Rossi e Valenti lavorano Arp, Hans Richter, Ingeborg Lüscher e più tardi Fritz Glarner.

Nel 1961 trasferta negli Stati Uniti per una mostra collettiva al Carnegie Institute di Pittsburg, e nel 1962 a Londra per una personale alle Waddington Galleries. Altre mostre si susseguono quell’anno alla Galleria d’Arte moderna di Basilea, a Oldenburg in Germania e nuovamente alla Lienhard di Zurigo Ancora più importante, nel 1963 si confronta con una collettiva al Museo di San Gallo con la grande celebrità di artisti più anziani quali sono Arp, Bissier, Nicholson e Tobey, a cui lo accomuna, come scriverà Willy Rotzler nel catalogo, “l’elemento meditativo, le questioni fondamentali dello spirito umano”. In una nuova esposizione nella sua galleria zurighese Valenti conosce il critico ed editore Manuel Gasser e si lega con lui di grande stima e cordialità; altrettanto è da dirsi per l’altro importante critico e scrittore francese Christian Zervos. 1964: nuova mostra, di collage, alle Waddington Galleries; una sua opera esposta, Palestrina, viene acquistata dalla Tate Gallery. 1965: oltreché in Svizzera, mostre al Kunstverein di Esslingen in Germania, alla Dawson Gallery di Dublino, all’Osborne Gallery di New York, poi ingresso in una collettiva alla Rigelhaupt Gallery di Boston, dove esporrà ancora in una personale l’anno dopo; nel 1967 un’esposizione itinerante mostrerà i suoi quadri in diverse città degli Stati Uniti. Solo il suo essere schivo, fragile, a volte depresso, gli impedisce ancora più alti e ampi traguardi; è il lato triste della sua natura, che se gli deve dolere, lo spinge alla concentrazione meditativa e fattiva, sui libri o sulle tele.
Il disteso paesaggio olandese, ammirato dal pittore nel corso di un viaggio in Olanda con la moglie e alcuni conoscenti, si riflette in alcune grandi composizioni del 1966-1968.
Dal 1967 lavora appassionatamente nell’atelier locar nese di François Lafranca, stampatore, artigiano della carta, editore e artista, compiendo le sue prime espe­ rienze di litografie a colori; intervengono altri importanti rapporti con i collezionisti William e Agnes Schöning e Sergio Grandini, generoso editore di raffinate collane di libri in cui a Valenti saranno consacrati due volumi: Lunes nel 1975 e Magiciennes nel 1982; anche il racconto di Piero Chiara I Re Magi ad Astano pubblicato da Grandini nel 1978 verrà illustrato da collage di Valenti e sarà un’occasione d’incontro con lo scrittore luinese; con lui condivide anche i rapporti con Franco Vercelotti, fervido amatore e animatore d’arte a Milano e sul Lago Maggiore.
Il 1967 è anche l’anno del matrimonio dell’artista con Anne de Montet, dopo l’annullamento del precedente. Per l’occasione essi compiono un viaggio in Bretagna, lungamente desiderato dall’artista, che vi s’ispira per altre sue opere di suggestivo cromatismo con i bassi toni di quei paesaggio aspro di rocce e di mare. Né meno inebriante e interessante sarà nel 1969 il viaggio, propiziato dalle descrizioni e sollecitazioni di Alfred Andersch, a Bruges e Gand, col contatto diretto con i pittori fiamminghi, soprattutto Van Eyck e Memling. Altrettanto stimolanti risultano nel corso di tutto quell’anno le conversazioni con una giovane studentessa di Storia dell’Arte all’Università di Ginevra, Anna Beretta-Piccoli. Esse sono un’occasione per ripensare, sollecitato dalle domande, il cammino percorso, ormai per quasi un quarantennio, dapprima in un movimento militante poi in diverse esperienze personali, sfiorando altri movimenti e personalità artistiche, elaborando i problemi della pittura, risalendo nella tradizione, interpretando la modernità o riprendendo le questioni perenni degli uomini. Mai in tutto questo egli ha perso evidentemente l’istinto e l’entusiasmo giovanile, la forte creatività anche se difficile, sofferta dietro la limpidezza dei trasferimenti sulla tela, se, temperamento introverso e dunque profondamente meditativo, in quei giorni gioca con naturalezza e felicità assieme ai piccoli bambini della sua studentessa o si mescola con quelli che disegnano in una saletta attigua al suo nuovo atelier di Ascona.
A fine anno 1967 Valenti partecipa a “Corrente 30 anni dopo”, mostra retrospettiva alla Galleria 32 di Milano e al volume Corrente: 30 litografie edito da Teodorani. Altre mostre si succedono negli anni seguenti al Museo Civico di Torino, a Olten, a Winterthur: Manuel Gasser sottolinea ora nel catalogo l’estremo raggiungimento della spogliazione della forma, lo sforzo più perseverante e la più alta tensione spirituale. Ne! 1970, mostre collettive in Inghilterra, in Svizzera, a Milano. Qui esce presso l’editore Scheiwiller, altro convinto ammiratore dell’artista, la monografia Italo Valenti, ventidue collage e testo di Manuel Gasser. Nel 1971, in una mostra di d’après a Villa Ciani di Lugano, Italo Valenti espone in collage un dettaglio della Madonna col Bambino dei trecenteschi Pietro e Ambrogio Lorenzetti, estrosissima e raffinatissima interpretazione moderna della sinuosa linea senese. Una grande mostra personale si svolge alla fine del medesimo anno alla Galerie Kornfeld di Zurigo: è la prova del riconoscimento generale dell’artista. Da Zurigo, Anne e Italo volano in Grecia, un’altra meta agognata e un’altra tappa obbligata nel suo itinerario spirituale, culturale e artistico, immersione diretta, questa volta, nel solare paesaggio mediterraneo e nelle radici del mito, nella culla di tanti capolavori della poesia, del teatro, del pensiero, con cui Italo si è familiarizzato fin da ragazzo. Ne parlerà sempre, dì quel viaggio (ma tornerà in Grecia ancora nel 1974 con i suoi vecchi amici Bechtler, collezionisti d’arte zurighesi) come di quegli scrittori, con animazione e commozione; lì assai più che nella tradizione cristiana sentiva l’anima occidentale. Da quell’esperienza, fondamentale per qualsiasi uomo, scaturirà una serie di opere di evidente risonanza, Antenati, Battello di Ulisse, Oracolo eccetera. Accanto al sublime ed emotivo razionalismo greco si pongono tuttavia anche le esperienze di lettura e di meditazione sui poeti e sui mistici dell’altro capo del globo: Italo è stato altrettanto sensibile alla suggestione giapponese, per ciò che di rarefatto nell’emozione e di diradato nell’espressione hanno quegli scrittori e quegli artisti. Chi scrive conserva di lui un dono che completa questo coerente panorama ideale: Jeux et sapience du Moyen Age, una Pléiade del 1978, un libro di farse e di giochi sapienziali, popolato di uomini e di animali, di santi e di buffoni, di favole e di moralità, nei modi più istintivi e sottili.
Il libro era conservato nella bibliotechina (piccoli libri e oggetti su uno stretto e lungo scaffale) nella nuova casa, una villetta bianca nascosta nel centro dì Ascona da un giardinetto con pergolato di vite, alberi ombrosi, aiuole di fiori, cancello verde e muro di sasso, dove i Valenti si trasferirono nel 1973. Sarà il regno finale della fervida quiete, della festosa disponibilità per gli altri e della rigorosa assenza dal chiasso del mondo, dei due coniugi. Lì sviluppa in particolare i segni lunari: l’astro notturno, componente enigmatica già di numerose tele valentiane fin dal 1938, compagno indissolubile delle Maghe e dal 1958 della serie del Caos, diviene ora protagonista assoluto di grandi e piccole tele, di collage e incisioni isolate o in serie. Sale spesso per questo all’Osservatorio di Locarno-Monti, legge i poemi per la luna di Li Po e Le ore piacevoli del monaco filosofo giapponese Urabe Kenko (XIV secolo); non è escluso che sia influenzato anche dalle prime imprese spaziali. Da un’esposizione nel 1975 alla Galleria Portico d’Arte di Omegna di Luciana e Luigi Alberti nasce un altro raffinato volume, dell’altro affezionato editore Giorgio Lucini, con un “collage moltìplicato” sui toni dell’azzurro notturno; a cui seguono le accennate Lune nella collana Grandini. Ancora nel 1975 escono Otto poesie di Eugenio Montale con un collage di Italo Valenti, nel Le pied de l’alouette, poesie di Anne de Montet con un disegno e un multiplo di un collage, entrambi editi dallo Scheiwiller e stampati dal Lucini. Fra il 1977 e 1978 François Lafranca stampa a sua volta a Locamo altre preziose poesie della de Montet con acquetinte e acqueforti di Italo Valenti ed Eugenio Montale si ritrovano nuovamente insieme con le poesie dei Mottetti del poeta milanese commentate dal filologo e amico comune Dante Isella e illustrate da due acquetinte del pittore asconese, superba edizione di Valdonega, Verona 1980.
Le mostre principali di questi anni si svolgono alle gallerie Vismara di Milano e Kornfeld e Klipstein di Berna (1974), Pudelko di Bonn e Brinkman di Amsterdam (1975), Kornfeld di Zurigo (1976, con questa citazione di Kenko scelta dall’artista nel catalogo: “Il cerchio della luna piena non rimane un solo istante nella sua perfezione, decresce rapidamente. Se non vi si bada, non ci si avvede che la forma muta così tanto in una notte”). Nel 1978 Italo Valenti prende posto nell’altra importante retrospettiva “Corrente, Cultura e Società, 1938-1942” al Palazzo Reale di Napoli; nel 1979 espone alla Westend Galene di Francoforte: la recensione di Christa von Helmolt sulla “Frankfurter Allgcmeine Zeitung” nel descrivere l’evoluzione della sua arte riferisce questa sua arguta e vera dichiarazione: “Quando si ama la musica, si comincia con Verdi e si finisce a Monteverdi”.
Il 1980 segna due dei massimi raggiungimenti e riconoscimenti della personalità di Italo Valenti: una grande retrospettiva fra gennaio e marzo al Kunsthaus di Zurigo, con centosette opere del quarantennio 1939-1979; e un’esposizione di “miniature”, ampia serie di collage in piccoli formati a giugno nella Scottish National Gallery of Modern Art di Edimburgo, col volumetto Piccoli Collages, Small Collages di Scheiwiller (il testo è di un importante collezionista d’arte inglese e convinto ammiratore dell’artista, Jim Ede). Di ritorno dalla Scozia, Italo e Anne incontrano per l’ultima volta e con molta emozione Ben Nicholson nella sua casa di Hampstead. Altra importante mostra di collage-miniature si svolge alla nuova Galleria Pieter Coray dì Lugano. Sono anni felici, con scambi di visite con Andersch e con Golo Mann, col celebre fotografo (e acquarellista) Henri Cartier-Bresson, con il naturalista e scultore Alfonso Sella, compagno di anni lontani a Milano, e la moglie Ada nel loro bel convento di Biella.
Nel 1981 Italo Valenti ottiene anche la nazionalità svizzera. Nello stesso anno è invitato e partecipa a un’altra delle sue più importanti esposizioni, quella che al Musée Jenisch di Vevey raduna sotto il titolo di “Peintres du silence” opere sue e di Nicholson, Morandi, Bissier, Rothko, Tobey; e in Germania, fra le altre, a una mostra dedicata dalla Westend Galerie di Francoforte all’arte italiana successiva al 1945. Nel 1982 è festeggiato dal Comune di Ascona con una retrospettiva nel Museo del Borgo appena restaurato; un’altra retrospettiva si tiene presso il Museo Comunale di Campione d’Italia, patrocinata da Sergio Grandini. Il 1983 vede la sua partecipazione a una collettiva sugli “Anni di Corrente” a Bergamo e a un’altra nuovamente alla Gallery of Modern Art di Edimburgo; nello stesso anno e nel successivo escono sul pittore due importanti monografie: Venti incisioni di Italo Valenti introduzione di S. Grandini, testo di G. Bezzola; e Italo Valenti di Walter Schönenberger. Ancora nell 1984, come già nel 1981, mostra alla Galleria Schlégl di Zurigo di gouache e di acquarelli, ancora ispirati alla poesia della luna. Nel 1985 culminano la ricostruzione e documentazione di Corrente come “movimento d’arte e di cultura d’opposizione” in un’ampia retrospettiva ancora al Palazzo Reale di Milano. Valenti vi partecipa con ventiquattro opere, che documentano, così come quelle degli altri artisti, non solo gli anni giovanili ma l’evoluzione della loro arte; nel catalogo Elena Pontiggia caratterizza la personalità valentiana all’interno del movimento con la sua sensibilità al meraviglioso e all’incantesimo, la tendenza all’evasione e all’essenzialità. Poco dopo sventuratamente l’artista viene colpito da un ictus cerebrale, che lo priverà penosamente dell’uso della parola e del braccio destro. Non per questo si smorza l’attenzione verso la sua persona e la sua arte. Lo dimostrano soprattutto altri due avvenimenti fondamentali, nel 1987: la monografia, attentamente documentata e ampiamente illustrata a cura di Sylvio Acatos nelle edizioni della Bibliothèque des Arts di Losanna e Parigi e una vasta esposizione alla Fondation Pierre Gianadda di Martigny. La sua presenza si rinnova pure in una sala per la mostra di riapertura del Musée Jenisch di Vevey; nel 1991 un’altra splendida retrospettiva è organizzata dalla Civica Galleria d’Arte Villa dei Cedri di Bellinzona e si estende alla Galleria Epper di Ascona; nel 1992 i suoi ottant’anni sono celebrati da una non meno splendida mostra presso la fondazione Querini Stampalia di Venezia, nostalgico ritorno sui luoghi del passato. Ma se Italo ha ripreso faticosamente a comporre con i mezzi fisici rimastigli i collage che classificherà come “Epoca della mano sinistra”, il suo declino si accentua, soprattutto dopo il 1994, anche a seguito di un incidente d’auto che lo priva delle premure della sua Anne. La morte sopraggiunge ad Ascona il 6 settembre 1995. In quel cimitero riposa per sempre.

Carlo Carena

(Carlo Carena, Stefano Pult – Italo Valenti, Catalogo ragionato dei collage, Ed. Skira)