Il locarnese come crocevia di spiriti erranti
a cura di Veronica Provenzale
Il percorso di Italo Valenti, per cominciare, è specialmente rilevante. Seppure partecipe degli sviluppi e degli indirizzi artistici che lo circondano – a Vicenza, a Venezia, a Milano, dove anche insegna all’Accademia di Brera e coinvolgendosi in prima linea, innanzitutto nel movimento Corrente, Valenti resta sempre in ascolto di una sua personalissima sfera, che lo porta all’isolamento e, progressivamente, al distacco. L’opera del pittore mantiene sempre una nota emotiva, «fedele più che a uno stile a un umore», popolata dalle figure sorte dalla sua infanzia, dalle storie delle nonne, dai miti antichi, comparse di un intimo spazio immaginario che sfugge al tempo. Come si definisce con grande modestia lo stesso Valenti «lo ero un piccolo lombardo, chiuso dentro la cerchia dei Navigli, a leggermi le mie fiabe, i miei racconti, le mie novelle delle Mille e una notte, tutta un’altra fonte (…)».
È d’obbligo il cenno alla nota serie delle Maghe, presenti fin dagli anni 40 nell’opera di Valenti, oppure a quella de I trenini. Negli anni ’50 ha luogo il commiato definitivo e il pittore si trasferisce in Ticino, e con Anne de Montet, che diventa sua moglie, accede all’ambiente culturale di Ascona e Locarno. In questo nuovo contesto Valenti sviluppa man mano una semplificazione formale che lo conduce all’astratto, teso alla ricerca di una chiarificazione degli oggetti del suo mondo, a una loro condensazione in segni primari, liberi di esprimere al contempo l’interiorità e l’universale dalla quale emergono. Le creazioni poetiche dell’artista aderiscono a questo processo di sintesi e progressivamente acquistano forme geometriche depurate, le Maghe si ergono ora in gruppi o in singoli solidi, le sue utopie si trasfigurano in campiture e volumi sospesi.
È notoriamente l’inizio di un nuovo periodo, e comprensibilmente, poiché la vena di Valenti, nutrita da visioni e figure emerse dalla memoria e dal mito, non può non vibrare a contatto con una realtà cresciuta sulle tendenze religiose e filosofiche più diverse. In meri-to, basti pensare alle suggestioni che pervengono durevolmente attraverso le riunioni di Eranos, cui si è già accennato, dedite sin dalla prima sessione a «(…) far scaturire un dialogo fra Oriente e Occidente sulla natura dell’anima, della realtà e delle immagini archetipiche sottostanti l’esperienza umana.». Anno dopo anno, i convegni diffondono questioni incentrate sugli archetipi e sulla simbologia delle culture, sull’inconscio collettivo, sulla psicologia del profondo, ossia temi che fondamentalmente proseguono gli intensi momenti di sperimentazione – tra teosofia, psicanalisi, arte e misticismo – dei decenni precedenti. Tutto ciò echeggia nei soggetti sviluppati da Italo Valenti (Chaos, Samourai, Signes lunaires, A minuit le soleil brillant), così come nelle ricerche di Hans Richter o nelle opere di Jean Arp. Non v’è dubbio che i nuclei attorno ai quali si esercitano questi artisti richiamano le problematiche e le fonti dibattute per anni nella regione, rivelando una comunità di pensiero e un’analogia di cultura e di ricerca. Questa affermazione è senz’altro legittima anche per il pittore tedesco Julius Bissier, spinto sin dagli esordi da un’intima necessità di ricerca spirituale prima ancora che artistica.
Provenzale, Veronica, L’energia del luogo ,Il locarnese come crocevia di spiriti erranti, in L’energia del luogo, JEAN ARP, RAFFAEL BENAZZI, JULIUS BISSIER, BEN NICHOLSON, HANS RICHTER, MARK TOBEY, ITALO VALENTI, alla ricerca del genus loci Ascona-Locarno, Città di Locarno, Servizi culturali, 2009, p.44-46