a cura di Carlo Carena
Nella produzione poetica di Giorgio Orelli trovano un posto significativo le traduzioni delle Poesie di Goethe.
Interrogato su di esse, egli spiegò quali scambi linguistici esse operano, quali mediazioni occorrono e sono disponibili; come nel caso suo egli sia ricorso, anzi si sia spinto spontaneamente a far intervenire, linguisticamente e immaginariamente, altri compagni di strada: Petrarca, Tasso, Leopardi.
L’immaginazione lo sospinse anche poi nel tradurre Lucrezio e nello scegliere dal suo immaginifico poema, il De rerum natura, strepitosa descrizione e storia materialistica dell’Universo.
Ritenuto unico oggetto esistente poiché al di fuori di esso non ci sono nemmeno gli dèi, lùniverso consiste in due soli elementi, i corpi e il vuoto, i quali là situati si muovono in ogni direzione.
Orelli vi cerca, trova e traduce dal quinto libro “Qui non potevi scorgere allora la sfera del sole / che alto volando fiotta la sua luce, né mare / né il cielo vedevi né pure la terra, né aria / né gli astri… / …ma solo / una cieca tempesta menava alle origini gli atomi / d’ogni genere, in preda a una discordia che ne scuoteva / le distanze, le traiettorie, gli intrcci”.
E anche in Goethe egli trovò: “Calò dall’alto il crepuscolo, già /tutto ciò che era vicino è lontano… / Ogni cosa vacilla nell’incerto… / Nell’inganno mutevole dell’ombre / trema la luce magica di luna”.
Ma poco dopo ecco una scena festosa simile a quella dei corpi riposanti presso un ruscello o all’ombra degli alberi, sotto un cielo ridente come i tanti da lui descritti in Leventina o al mare.
Orelli anche nei molti passi più teneri e affettuosi del suo canzoniere non è mai languido; gentile, tenero, è riflessivo, insegue con l’occhio più che con la fantasia le farfalle e gli insetti e descrive i paesaggi marini e montani con fermo e colorito pennello segantiniano. Persino nel turbinio del tremendo Caos lucreziano cerca una luce leopardiana ed emerge con essa dal tragico.
Vi è invece inesorabilmente immerso e travolto in un disorientato e fosco momento della sua vita, non molto lontano da lui, Italo Valenti a fine anni Cinquanta, quando, a un periodo di abbondante produzione, segue un silenzio pressoché totale, se non fosse per il turbinio angosciante degli atomi e delle masse del sistema cosmico lucreziano, incrociandovi i brani tradotti da Orelli, come testimonierà il poeta nel catalogo dell’antologia del pittore a Bellinzona e Ascona nel 19913. Un incontro che li Orelli stesso definirà un conforto immediato per la mente dell’artista e un impulso a tracciare una serie di litografie significative e per se stesse ed entro la produzione valentiana degli anni Cinquanta.
Scompaiono tutt’a un tratto i laghi, i fiori, i paesaggi, e si susseguono (1958-1959) i Caos tutt’al più accostati a forme lunari, e blu, verdi, grigi; scontri di rotonde masse e formicai sospesi nel vuoto dal loro solo moto perpetuo.
Mario Luzi in una nota di Vicissitudine e forma (1974) parlerà di “energia distruttiva” per quella che anima e scuote gli ampi quadri dell’Universo Lucreziano, e questo è il loro “continuo avvenimento”.
Ancora in un altro testo di Luzi si può attingere per Valenti un verbo da lui usato per definire l’uomo lucreziano: uno che “rimugina” sulla sua esistenza e cerca di condensare in sé il mondo per ricavarne un senso.
Valenti testimonierà a sua volta lo scoppio e lo svolgimento di quella sua crisi interiore e artistica in una nota d’apertura di un’antologia lucreziana per i licei e dove è associato allo stesso Luzi per alcuni dei suoi Appunti su Lucrezio anch’essi in apertura del volume.
“Nel 1958 ebbi in dono” puntualizza Italo Valenti – “un frammento del De rerum natura di Lucrezio e precisamente dove descrive l’origine dell’Universo” e la scoperta di questo Poeta nel “periodo più oscuro” della sua vita, “quando tutto rotolava attorno esplodendo nel buio della mia notte” lo sospinse “per istinto di conservazione” a cercare di interpretare sulla pietra litografica, velocemente con stato d’animo pauroso e gioioso insieme, le immagini del Caos lucreziano. Ed ecco un inizio informale da cui emersero lentamente, come nella costituzione dell’Universo, forme sempre più distinguibili. Di qui le sue lune, le nubi, le terre sempre più ordinate in spazi meno agitati.
Avviene ciò che Luzi in quelle pagine trova nella poesia lucreziana, i cui grandi quadri come i fugaci particolari sono tutti imbevuti di una stessa energia creatrice e distruttiva (Valenti intitola due sue litografie del 1958, allegate al volume antologico, Energia e Deflagrazione).
Anche le due storie del poeta e del pittore ticinesi, l’una lirica e fantastica, l’altra penosa e stupefatta, si incrocieranno di nuovo, tangibilmente, anni dopo, nel 1991, al compimento o nell’imminenza di un genetliaco dei due protagonisti, in uno squisito libretto di Scheiwiller: Giorgio Orelli, Tre episodi lucreziani /sei litografie di Italo Valenti; anzi scandito così nell’antifrontespizio:
LUCREZIO | ORELLI | VALENTI.
Allo straziante episodio, secondo libro del De rerum natura, della mucca che cerca e piange il proprio vitello insensatamente sacrificato dagli uomini stolti e crudeli sugli altari dei loro dèi; alla “cieca tempesta” degli atomi composta infine nella luminosità del cielo, libro quinto; e alla festa, allora, dei mortali sui prati fioriti al canto della musa agreste, sono intercalate cinque rappresentazioni pittoriche intitolate Caos e una Spirale, tutte del 1958.
In copertina, come un sollievo intelligente, Misura, collage del 1978, sigillo di una stabilità luminosa di due trapezi rosso e verde saldamente fissati l’uno sull’altro.
Anche il frequente traghettatore nero e le monumentali maghe grigie, ora delizia dei dipinti, dei collages, delle chine, della fantasia e dell’ironia valentiane, saranno variazioni infinite di fatalità per nulla repellenti ma beate per l’arcano silenzio e la monumentale solitudine.